A partire dalla scorsa estate si sono intensificati dibattiti e scontri, tanto nelle aule di tribunali quanto nelle piazze, sull’opportunità di introdurre la c.d. “shared residence” quale regola in punto di affido di figli minori; ciò a seguito del deposito da parte del senatore Pillon del disegno di legge n°735 del 2018, c.d. DDL “Pillon”. I sostenitori della necessità di abolire la figura del genitore collocatario partono da un dato reale: in Italia, troppo spesso, l’affido condiviso risulta tale solo formalmente. Troppo spesso, infatti, dati alla mano, in Italia il genitore che non vive con la prole riesce a trascorrere con la prole tempi superiori al 30-40% del totale solo nel 3-4% dei casi.[1]
Quelli che, di contro, osteggiano alla generalizzazione dell’affido alternato come regola pongono di solito l’accento:
- sulla specificità della situazione socio-familiare italiana – caratterizzata da una presenza ancora nutrita di donne che sacrificano, in misura maggiore o minore, la propria vita professionale per prendersi cura dei figli e del ménage familiare, e da una discriminazione in ambito lavorativo che porta tuttora gli uomini a guadagnare, a parità di mansioni, di più delle donne;
- sulla necessità di valutare caso per caso l’opportunità di un affido alternato, non sempre corrispondente all’interesse della prole, anzi, spesso ritenuto destabilizzante a causa dello stress congenito al continuo cambio di casa.
I semi dell’affido alternato tra Europa e tribunali nostrani
A ben vedere, l’obiettivo di modificare radicalmente il diritto di famiglia – partendo dalla ripartizione paritetica dei tempi di permanenza dei figli, sino alle sue conseguenze in punto di assegno di mantenimento e di assegnazione della casa familiare – affonda le proprie origini alcuni anni indietro, con la firma da parte del Governo italiano della risoluzione n°2079 del 2015 del Consiglio d’Europa, rubricata “Equality and shared parental responsibility: the role of fathers” (equità e responsabilità genitoriale condivisa: il ruolo dei padri), pietra miliare in Europa della necessità di garantire tempi paritetici dei figli con entrambi i genitori.
Detta risoluzione, di cui l’Italia è firmataria, afferma infatti:
- che la separazione di un genitore dal figlio ha effetti irrimediabili sulla loro relazione e, pertanto, la stessa dovrebbe essere ordinata esclusivamente dall’autorità giudiziaria e solo in casi eccezionali configuranti un rischio grave per l’interesse della prole[2];
- che una responsabilità parentale condivisa aiuterebbe a superare gli stereotipi di genere relativi ai ruoli ricoperti dall’uomo e dalla donna nella famiglia, riflettendo pertanto i cambiamenti sociologici che hanno preso piede negli ultimi 50 anni[3];
- contiene infatti l’espresso invito agli Stati membri ad assicurare l’effettiva eguaglianza tra genitori anche attraverso la promozione della c.d. “shared residence”, definita quale “…forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrono tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”.
Alla luce delle predette riflessioni, la risoluzione in oggetto, ancorché non vincolante, ha chiamato gli Stati membri ad una serie di adempimenti e novelle legislative, tra le quali:
- introdurre nei propri ordinamenti il principio della “shared residence” a seguito della separazione, limitando a casi eccezionali di particolare gravità (quali abusi sui minori o violenza domestica), l’adozione di forme alternative[4];
- incoraggiare e sviluppare la mediazione in tutti i casi concernenti minori[5];
- incoraggiare accordi tra i genitori al fine di permettere a questi ultimi di determinare essi stessi i principali aspetti relativi alla vita dei figli, consentendo altresì agli stessi minori di poter richiedere una revisione di detti accordi, nella misura in cui abbiano effetti sugli stessi, con particolare riferimento al luogo della loro residenza[6].
La posizione della Suprema Corte e l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di merito
La Suprema Corte, con ordinanza n°4060 del 15 febbraio 2017, intervenendo sulla questione aveva dato atto del limitato utilizzo in Italia dell’affidamento alternato, riconoscendo che lo stesso “…tradizionalmente previsto come possibile dal diritto di famiglia italiano, è rimasto una soluzione di limitate applicazioni, essendo stato ripetutamente affermato che esso assicura buoni risultati quando non vi è un accordo tra i genitori e tutti i soggetti coinvolti, anche il figlio, condividono la soluzione”. Ad avviso della Corte, infatti, l’affidamento alternato, comportando una modifica continua della propria casa di abitazione, potrebbe avere “…un effetto destabilizzante per molti minori”.
Detta posizione appare sovrapponibile a quella invalsa nella maggior parte dei Tribunali nostrani, in cui la regola dell’affido condiviso con collocamento prevalente presso uno dei genitori (nella maggioranza dei casi la madre), appare di gran lunga maggioritaria. Ad onor del vero, ancorchè non si parli di affido alternato, dei passi in avanti nella direzione dell’aumento dei tempi di permanenza dei figli presso il genitore collocatario si sono pur registrati:
- sono drasticamente diminuiti i casi di affido esclusivo del minore a uno dei genitori;
- è oramai stato esteso il pernotto dei figli, anche in tenera età (ex multis Tribunale civile di Trieste, decreto del 5 settembre 2018);
- sono aumentati in genere i tempi di permanenza dei figli presso il genitore non collocatario;
- iniziano ad essere presenti diversi casi in cui i genitori hanno chiesto e ottenuto dai Tribunali l’omologazione di condizioni di affido e mantenimento di figli nati dentro o fuori il matrimonio, in cui è previsto l’affido alternato.
A ciò aggiungasi che, da qualche tempo, alcuni tribunali nostrani si sono mossi autonomamente mediante l’adozione di linee guida e protocolli in cui individuano l’affido alternato come modello maggiormente corrispondente all’interesse della prole (in tal senso il Tribunale di Brindisi e il Tribunale di Salerno).
La recente pronuncia del Tribunale di Catanzaro
Di recente diverse testate giornalistiche hanno portato agli onori della cronaca regionale e nazionale una pronuncia con cui il Tribunale civile di Catanzaro ha disposto “…l’affidamento congiunto ad entrambi i genitori del figlio minore con tempi paritetici di permanenza del minore presso i due genitori…”.
Il decreto n°443 del 28 febbraio 2019 ha senza dubbio una portata innovativa, rappresentando, almeno a memoria di chi scrive, il primo caso in Italia in cui un Tribunale abbia disposto tempi paritetici di frequentazione del minore in assenza di una domanda congiunta in tal senso da parte dei rispettivi genitori.
Il caso in esame
La vicenda trae origine dal ricorso con cui una madre adiva il Tribunale calabrese chiedendo di disporre: l’affido condiviso del minore, con collocamento prevalente presso la madre; una frequentazione padre-figlio “…con esclusione del pernottamento…”; l’assegnazione della casa familiare; il versamento di un assegno di mantenimento in favore della prole e la ripartizione delle spese straordinarie per i figli.
Il padre, costituendosi in giudizio, chiedeva al giudice di disporre l’affido condiviso del minore con collocamento alternato e conseguente rigetto della richiesta di assegnazione della casa familiare, di sua proprietà.
L’excursus normativo, giurisprudenziale e scientifico sull’attuabilità in astratto dell’affido alternato e la sua corrispondenza al superiore interesse del minore
La prima sezione del Tribunale catanzarese, nel pronunciarsi sul regime di affido, pone preliminarmente l’accento su alcuni dati giuridici e scientifici a supporto della corrispondenza al superiore interesse del minore del c.d. affido alternato:
- la d. shared custody, nonostante non sia ancora una misura di larga applicazione nella giurisprudenza italiana, sarebbe “…in linea teorica aderente alla previsione contenuta nel citato art. 337 ter c.c. che non pare riferirsi esclusivamente all’affidamento legale condiviso, ma anche alla custodia fisica condivisa”;
- il recente DDL Pillon, dimostrerebbe una chiara intenzione del Legislatore “…a togliere qualsiasi discrezionalità al giudice nella scelta sull’affidamento dei figli e sul tempo di permanenza presso ciascuno dei genitori”;
- l’Italia, attraverso la sottoscrizione della Risoluzione n°2079/2015 del Consiglio d’Europa, sottoscritta dall’Italia, avrebbe espresso il proprio impegno ad apportare le modifiche normative necessarie per l’introduzione nel nostro sistema della “…shared residence, ossia quella forma di affidamento in cui i figli della coppia separata trascorrono tempi più o meno uguali tra il padre e la madre”;
- l’affido alternato sarebbe conforme altresì ai diritti riconosciuti dalla Convenzione di New York del 1989, ratificata dall’Italia con legge n°176/1991, in particolare il diritto del fanciullo “…di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori…” (art. 9, comma 3) e dalla Carta di Nizza;
- la scelta dell’affido alternato sarebbe corrispondente ai principi affermati dalla Corte Edu in alcune celebri pronunce;
- la regola dell’affido alternato avrebbe già trovato ingresso mediante alcuni protocolli e linee guida adottati da tribunali nazionali (tra cui Perugia, Brindisi e Salerno);
- il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi avrebbe già espresso nel 2011 un parere positivo in merito alla shared custody, criticando il D.D.L. Pillon limitatamente “…alla mancanza di potere discrezionale del giudice nel decidere circa i tempi di custodia del bambino (…) e l’assenza di previsioni differenziate in base all’età del minore e alle esigenze del caso concreto”;
- un’ampia letteratura scientifica statunitense e del Nord Europa, avrebbe dato atto del “…crescente uso della joint or shared physical custody (…)” e dimostrato “…che il figlio la cui figura paterna è coinvolta nella crescita attraverso una frequentazione costante, trae dei benefici a livello psicologico rispetto al figlio che frequenta il padre solo per poche ore a settimana o nel fine settimana (…);
- sarebbe ampiamente condiviso nella comunità scientifica il principio secondo cui “…entrambi i genitori necessitano di molto tempo trascorso con i propri figli per creare delle relazioni durature e consolidate e che, se questo non avviene, il tentativo di recuperare un rapporto compromesso diviene molto difficile specie con il passare del tempo”.
L’aspra critica alla prassi generalizzata del collocamento prevalente del minore
Il Tribunale, poi, critica aspramente la prassi invalsa nei Tribunali italiani di prevedere quale regola, nella stragrande maggioranza dei casi, del collocamento prevalente del minore presso uno dei genitori (generalmente la madre) in quanto:
- vanificherebbe la portata innovativa delle modifiche introdotte dalla legge n°56/2006 e previste espressamente nell’ 337 ter c.c., comportando, da un punto di vista fatturale un affido materialmente esclusivo del figlio (c.d. “sole physical custody”);
- comporterebbe un aumento della conflittualità della coppia, poiché, come noto, al collocamento prevalente della prole consegue l’assegnazione della casa familiare e il versamento di un assegno di mantenimento da parte del genitore non collocatario;
- deresponsabilizzerebbe il genitore non collocatario, gravato del versamento di un assegno di mantenimento, in quanto “…di fatto autorizzato a non aver contezza degli effettivi bisogni economici della prole”.
La necessità di appurare l’attuabilità e la corrispondenza in concreto dell’affido alternato al superiore interesse del minore
Il Tribunale, passando al caso di specie, chiarisce preliminarmente come, quanto precedentemente esposto non equivalga a considerare la suddivisione paritetica dei tempi di permanenza quale soluzione da preferire in assoluto ma unicamente qualora “…siano presenti le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto”.
Il Tribunale, dunque, chiarisce quali siano i criteri su cui operare la scelta in favore dell’affido alternato:
- l’età del figlio, dovendosi escludere la predetta misura “…in presenza di figli minori molto piccoli”, in particolare se in età d’allattamento;
- il concreto assetto della coppia separanda, tenendo in particolare considerazione “…se entrambi hanno degli impegni lavorativi e di che tipo, se hanno entrambi la disponibilità di un’abitazione dignitosa per la crescita dei figli”, e ciò in conseguenza degli “…ostacoli economici e sociali alla realizzazione di una parità dei ruoli all’interno della coppia genitoriale”, tuttora presenti in Italia.
La decisione in punto di affido alternato
Il Tribunale, infine, motiva nel caso di specie la ripartizione paritetica del minore tra i due genitori, con conseguente rigetto della domanda di assegnazione della casa familiare formulata dalla madre, in considerazione:
- dell’età del bambino, di anni 6, ritenuta non “…di ostacolo all’adozione della misura…”, ciò alla luce anche di studi scientifici nord europei che attestano “…una maggiore propensione alla doppia residenza nei più giovani rispetto agli adolescenti, che sono maggiormente proiettati verso i loro interessi sociali e possono percepire più dei bambini la ‘scomodità’ derivante dall’avere più case”;
- del mancato accertamento nel giudizio di alcuna delle ragioni ostative dedotte dalla madre, ad avviso del quale “…il bambino non potrebbe distaccarsi da lei per lungo tempo o di notte…”;
- della mancanza di alcun pregiudizio derivante dalla “…permanenza presso l’abitazione del padre (pernotto compreso) (…) trattandosi di un ambiente per lui familiare in cui sono presenti spazi a lui dedicati e di recente ristrutturazione”, come asseverato dalla perizia depositata in atti;
- della presenza di studi scientifici che comprovano gli effetti positivi derivanti dal pernottamento del bambino presso il padre “…dal momento che si crea una più approfondita e intima conoscenza e il minore percepisce maggiormente come propria l’abitazione paterna”;
- dall’espressa manifestazione da parte del padre del “…l’interesse a occuparsi a tempo pieno del figlio, anche in considerazione del suo attuale ridotto impegno lavorativo”;
- della presenza in ogni caso, “…di una rete familiare di supporto, costituita dai genitori e, si suppone, anche di una rede amicale” che possa aiutare il padre durante la permanenza del figlio presso di sé;
- dell’adeguata capacità genitoriale del padre, non essendo la madre riuscita a comprovare il contrario;
- dell’assenza di “particolari conflitti della coppia”;
- della regolarità con cui il padre attualmente vede il figlio.
La decisione in punto di mantenimento
Da ultimo, il Tribunale pronunciandosi in punto di mantenimento, ricorda preliminarmente come l’art. 337 ter, comma 4 c.p.c. ha introdotto il principio cardine secondo cui “…i genitori devono provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale ai propri redditi” a cui consegue che “…l’assegno perequativo a carico di uno dei genitori può essere stabilito, ove necessario, per attuare il principio di proporzionalità, tenuto conto dei diversi parametri indicati dalla stessa norma, tra cui rilevano anche i tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore”.
Passando al caso di specie, il Tribunale di Catanzaro dispone il mantenimento in via diretta del figlio da parte dei genitori nei rispettivi periodi di permanenza del figlio presso di loro e la ripartizione al 50% delle spese straordinarie per il minore, sulla scorta dei seguenti motivi:
- la situazione reddituale dei genitori, tenendo conto anche degli oneri connessi alle esigenze abitative degli stessi, sarebbe paritetica[7];
- paritetici sarebbero altresì i tempi di permanenza del minore presso ciascuno dei genitori.
[1] Basti pensare che, nel nostro Paese, la percentuale di affidi di minori c.d. “paritetici” risulti pari ad appena 1-2 %, a fronte di medie superiori al 20% in paesi quali Belgio (20%) e Svezia (28%); quella di affidi “materialmente condivisi”, ovvero con tempi di permanenza presso il genitore non collocatario pari o superiori al 30%, di appena 3-4%, a fronte di medie superiori al 30% in paesi quali Belgio (30%) e Svezia (40%); quella, di contro, di affidi “materialmente esclusivi”, pari ad oltre il 90%%, a fronte di medie inferiori al 50% in paesi quali Belgio (50%) e Svezia (30%).
[2] “For a parent and child, being together is an essential part of family life. Parent–child separation has irremediable effects on their relationship. Such separation should only be ordered by a court and only in exceptional circumstances entailing grave risks to the interest of the child”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220
[3] “…developing shared parental responsibility helps to transcend gender stereotypes about roles supposedly assigned to women and men within the family and is simply a reflection of the sociological changes that have taken place over the past fifty years in terms of how the private and family sphere is organized”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220
[4] “…introduce into their laws the principle of shared residence following a separation, limiting any exceptions to cases of child abuse or neglect, or domestic violence, with the amount of time for which the child lives with each parent being adjusted according to the child’s needs and interests”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220
[5] “…encourage and, where appropriate, develop mediation within the framework of judicial proceedings in family cases involving children, in particular by instituting a court-ordered mandatory information session, in order to make the parents aware that shared residence may be an appropriate option in the best interests of the child, and to work towards such a solution, by ensuring that mediators receive appropriate training and by encouraging multidisciplinary co-operation based on the “Cochem model”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220
[6] “…encourage parenting plans which enable parents to determine the principal aspects of their children’s lives themselves and introduce the possibility for children to request a review of arrangements that directly affect them, in particular their place of residence”, in http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-EN.asp?fileid=22220
[7] Il marito, come emerso nel giudizio, guadagna circa € 800,00 mensili netti e, ancorchè risultava proprietario della casa familiare, era gravato di un prestito personale contratto per la ristrutturazione della casa. La madre, di contro, vantava un reddito superiore, pari a € 1.200,00 mensili, ma sarebbe in futuro gravata delle spese locatizie di un immobile, nella prevedibile misura di € 450,00 mensili